lunedì 28 maggio 2012

Ieri ho visto...

... un Ciuaua in gonnella. Era orribile. Per favore qualcuno lo dica alla sua padrona.

mercoledì 23 maggio 2012

La mia città



« Se fossi un livornese, di quelli veri che dicono "deh" e parlano a mano aperta, muovendo le dita, come per far vedere che nelle loro parole non c'è imbroglio, vorrei star di casa in qualche Scalo della Venezia. Non già nei quartieri, nelle piazze, nelle strade disegnate con la matita dolce, con l'aiuto di squadra e di compasso, dagli ordinati e generosi architetti dei Granduchi, ma in questo quartiere che i livornesi chiamano La Venezia, qui nel cuore della città vecchia, a due passi dalle Carceri, dal Monte Pio, dai Bottini dell'olio. Che bella vita sarebbe, che vita semplice e felice.»
(Curzio Malaparte, Maledetti Toscani)

Da bambina tornavo dal mare in maglietta e costume e mi sentivo così libera. Non avevo la sabbia appiccicata ai piedi, amavo lo scoglio ed i tuffi da quello più alto. Anche adesso è così.
Sono nata nel quartiere Venezia, dalla finestra di casa, nel fosso (canale) potevamo vedere ormeggiato il gozzo del mi’ babbo e del mi’ zio.
C’è stato un momento, dopo i venticinque anni, in cui la mia città mi stava stretta, ed avevo voglia di andarmene e vedere altro. Avevo forse la solita smania dei giovani, e probabilmente mi stavo stretta da sola. Così partii, pensando di allontanarmi un paio di anni. Che invece sono diventati dodici, ed in questo periodo ho avuto modo di odiare la mia città perchè non mi voleva più, perchè non potevo viverci, e la trovavo piccola e meschina, ma probabilmente ero io che non sapevo decidermi.
Poi sono riuscita a tornare ed ho potuto amarla ancora. Come si ama un amante da anni, conoscendone i difetti e adorandone i pregi.
Adoro il mare, tutti i livornesi lo adorano. In tutte le sue forme, passeggiando sul lungomare del Viale Italia d’inverno, magari con quella noia tipica della stagione, quando lo scirocco invita i surfisti dei Tre Ponti, ad Agosto sui bagni con gli zoccoli e la ghiacciaina della cena, in primavera con i piedi nell’acqua fredda, mi piace Calafuria lo scoglio liscio ed i tuffi di testa, o i granchietti alle Vaschine e l’unica spiaggia della Cala del Leone, Calignaia e “W gli sposi” che si sente dal ristorante di sopra, la barchetta del mì babbo che ancora ci porta alle Melorie, la schiacciata per la nausea e la murena della buca dei favolli.
Mi piace il livornese che ti invita a cena o ti offre qualcosa che ha portato, che ironizza sui propri malanni e sulla proprie infermità, anche quelle tragiche e gravi, che scherza e sorride, quello che ha sempre la battuta pronta, quello sincero. Mi piace quando si prodiga in mille spiegazioni se un forestiero chiede un’indicazione.
Odio la spazzatura per terra del cittadino qualunquista e maleducato, odio la corruzione dei posti di lavoro dove entri se sei figlio di o fratello di o moglie di o amico di, ma questo è un male generale dell’Italia che ne rovina il benessere economico.
Odio i soliti discorsi: si però a Rimini, si però a Pisa, si però a Milano, si però. Non parogonerei la mia città a nessun’altra città, perchè non vorrei rovinare la mia costa per qualche ombrellone a pagamento, o la vita di questa città con quella frenetica di Milano. A Pisa hanno basato la loro economia sull’Università, sulle ditte satellite e gli studenti. A Livorno abbiamo puntato sul porto e ci è andata male, così come a Genova, ma almeno non abbiamo il cadavere del ragno nero dell’acciaieria che deturpa la nostra costa con le sue zampe molli, là come a Piombino. Ogni città ha la sua personalità. Il benessere non sta in ciò che hai, ma in come lo usi. Quello che a volte sembrava dare pane, spesso ha poi dato la morte. Occhio a certe politiche economiche; cerchiamo invece di mantenere il giusto equilibrio tra la vita privata e quella lavorativa.
Io sono per la decrescita felice e sostenibile.

"Anima mia leggera,
va' a Livorno, ti prego.
E con la tua candela
timida, di nottetempo
fa' un giro; e, se n'hai il tempo,
perlustra e scruta, e scrivi
se per caso Anna Picchi
è ancora viva tra i vivi.

Proprio quest'oggi torno,
deluso, da Livorno.
Ma tu, tanto più netta
di me, la camicetta
ricorderai, e il rubino
di sangue, sul serpentino
d'oro che lei portava
sul petto, dove s'appannava.

Anima mia, sii brava
e va' in cerca di lei.
tu sai cosa darei
se la incontrassi per strada."

Preghiera, G. Caproni (centenario della nascita)

mercoledì 16 maggio 2012

Sforzi fisici


Ore 19.40, parto da casa per una corsetta. La luce è quella della primavera prima del tramonto, un momento che io semplicemente adoro. Sono in aperta campagna, nel silenzio. Mi scappa una petina piccola, silenziosa, fetida. Ci stava proprio bene. Tempo zero sento una voce alle mie spalle. "Come mai non sei venuta all'ultima riunione?". Mi volto, è il Cicci, un vecchio amico che adesso incontro spesso per via che i bimbi frequentano la stessa scuola, ed abitiamo nello stesso quartiere. Anche lui in divisa da footing.
"Non potevo, e comunque le maestre non mi hanno neanche fatto avere l'avviso".
"Non ti sei persa niente. Comunque io mi fermo qui, ho bisogno di una bombola di ossigeno".
Resta da capire se per via del suo, di sforzo fisico, o per il mio.

venerdì 11 maggio 2012

Racconti partigiani



Un soleggiato giorno di festa. Anzi no, è il 25 Aprile, che ormai per noi è solo la giornata delle scampagnate. La casa nel sole, circandata da prati verdi brillanti, rilassa davvero. I bimbi giocano liberi. Si ferma un’auto e scendono due signori anziani. Uno esclama “Si, ho vissuto qui, da giovane”. Si ricordano di lui, è tornato altre volte. Scende l’altro, ha i capelli bianchi: “ Io qui ero partigiano”. I bambini gli corrono incontro incuriositi. “Prego entri” lo invita la padrona di casa. Si fa avanti, osserva tutto con attenzione ed i suoi occhi oltrepassano il tempo e tornano indietro di decine di anni, tutto si trasfoma, riconosce i luoghi e ricorda i fatti. Torna fuori “Qui c’erano due americani con noi, poi una bomba; uno morì sul colpo accasciando la testa, l’altro dissanguato per una ferita alla coscia. Quanto urlò prima di lasciarci!”. I suoi occhi tornano giovani e piangono lacrime. I bambini lo circondano cantando “Bella ciao”.
Si è partigiani anche a 90 anni.

Liberamente tratto da una storia vera.

mercoledì 9 maggio 2012

Sette e trenta


Ecco stavolta mi è toccata una donna della mia età, direi. Ha gli occhi stralunati, non so se per via dell’attività sulle dichiarazioni dei redditi dalla mattina alle 8,30, e sono le 5,45, o per natura. Provo a fare la splendida ed a scherzare un po’, penso che faremo presto, vengo qui da tre anni hanno praticamente tuttii miei documenti e la mia dichiarazione è pressoché sempre la stessa: mutuo, scontrini e ricette mediche, assicurazione auto e scooter. Ecco no, porca miseriaccia. Ecco nell’era dell’informatizzazione globale dove tutti aspirano a quel cazzo di AI-PAD come fosse un salvavita, e non farebbero mai a meno del TAC SCRIN, ecco che i terminali per la dichiarazione si bloccano, i documenti non sono in linea e allegata alla mia dichiarazione dell’anno scorso c’è un contratto di acquisto casa e stipula mutuo sbagliato. SBAGLIATO. No, come sbagliato? SI si sbagliato, affacciati pure al mio schermo. Mi affaccio ed è sbagliato. Ma per fortuna c’è il DATABEIS. Nel DATABEIS ci sono i documenti, li sfogliamo tutti da quelli del 2009 ad adesso, io sempre affacciata, il che vuol dire a buo pillonzi per guardare dall’altra parte della scrivania. Ecco ritroviamo i contratti giusti. La signora è esausta ed io ho perso tutto il mio smalto iniziale, mi sta anche venendo sonno. Ma non si può infierire, sono lavoratori anche loro, magari precari, che comunque danno la colpa a “quella che t’ha fatto il 730 l’anno scorso”. Poveraccia. La tipa mi guarda con quelle sfere oculari e dice “STAMPO TUTTO”. Stampo tutto??? Come se fosse l’ancora di salvezza, il sano bianco e nero su carta, senza link senza archivi. Eccoli i tui documenti, anche quelli sbagliati, così hai tutto. Nell’era tecnologica del tutti connessi me ne esco con un pacco di fogli più di quanto ne avessi al mio ingresso al patronato, e non sono AI fogli, no no, sono fogli di carta normali, stampati da una parte sola, per la gioia dei nostri alberi, pesano ingombrano, ma si possono toccare con tutta la mano e non solo col dito come si fa col TAC SCRIN.
Sono passate due ore e un quarto. 

venerdì 4 maggio 2012

Oioioi




“Gastrrrrrrrrrrte Reflrrrrrrr 5glg Perrrrrr 2clg EVENTUALMENTE ....” La penna scivola sul foglio e ovviamente non si legge una sega, a parte “EVENTUALMENTE” scritto chiaramente in stampatello maiuscolo. Devono fargli un corso di scrittura medicale insieme alla laurea. Comunque il mio medico è simpaticissimo, livornese verace legge il Vernacoliere, mi legge sul Vernacoliere e ne parla coi miei, anche loro suoi pazienti. Ovviamente non sa che il mì babbo mi diserederebbe per quei pezzi, se solo avesse una qualche eredità monetaria. Comunque chiedo “Ma se mi va, posso mangiare cosa mi pare?”.
“Si, a parte il bufalo cotto alla maniera Apache, ovviamente”.
Ecco, sono stata digiuna due giorni e mezzo tra crampi di stomaco e spossatezza, per via di questo virus. In questo intervallo, oltre a dormicchiare tipo la mì nonna, ho potuto osservare con attenzione le venature di legno dell’armadio di fronte al nostro letto e riflettere sul concetto “Come si sta bene quando si sta bene”. Che sembrerebbe un pleonasmo, ma in realtà è un concetto assai profondo, su cui bisognerebbe riflettere più spesso.
Tipo il Primo Maggio.