martedì 26 maggio 2009

Uno di noi

Ho pensato parecchio a questa vicenda. Con dolore, pur non conoscendo direttamente il protagonista, ma sempre pensando ad uno di noi. Con gli stessi nostri problemi; la vita è un’altalena. Inizialmente l’ho pensato anche come un Cristo aziendale, che si era sacrificato a simbolo dei nostri disagi e delle nostre gravi difficoltà. Illusa; un Cristo oggi non ha nessuna risonanza. Qui ti notano solo se partecipi al Grande Fratello o mostri il culo ad una cena con papi. Di un povero cristo come noi, uno di noi, purtroppo non interessa niente a nessuno. Al massimo un trafiletto sul giornale il giorno dopo. Ed un grande vuoto nel cuore di coloro che lo hanno conosciuto, amato, e che gli erano amici.
Nessuno può ritenersi immune, nessuno può dire “Io non lo farei mai”.
Come certi momenti difficili a livello familiare possano intrecciarsi con una situazione aziendale obiettivamente faticosa, con la sensazione di essere continuamente braccati da una falce che vuole portarti via anche la dignità del tuo lavoro, è di ardua valutazione.
Sicuramente questi grigi signori, i Signori del Denaro, non l’avevano previsto. Pensando di monetizzare tutto, le nostre frustrazioni, le nostre incertezze, la paura di perdere il posto di lavoro e con esso un ruolo oltre che un salario indispensabile per vivere, non avevano previsto che a qualcuno non interessassero quei soldi e preferisse saltare.

Non fatelo mai! Fanculo a tutto.

mercoledì 20 maggio 2009

Supermercato

A Genova facevo la spesa on line al Basko (o alla Basko come dicono i genovesi). Arrivavano in tarda serata due ragazzi vestiti di verde e scaricavano in salotto la quantità immonda di Roba che una famiglia consuma mediamente in due settimane. I miei figli li hanno presto scambiati per dei messi di Babbo Natale; penso siano ancora convinti che ci portassero tutto spontaneamente e gratis.

“Mamma, guarda cosa ci ha portato la Basko!”

“I biscotti! Chissà come faceva a sapere che li avevamo finiti!” Rispondevo io ridendo.

Comunque avrei baciato quei dipendenti in verde ad ogni consegna. Mi risparmiavano il viaggio in auto, il tentativo di parcheggio, il tentativo di ricordarmi dove avevo parcheggiato (C4, F9, colpito e affondato), il vagare incerto presso file di materiale colorato in un ambiente affollato, il rimbombo delle voci, la totale mancanza di luce naturale, il frullato di cervello che ne deriva, la corsa all’offerta. È incredibile come un’adorabile massaia si trasformi, al momento degli acquisti, in un vorace avvoltoio. Che si getta con aggressività su ogni 3x2 disponibile, anche se l’offerta riguarda dei turbo-iniettori.

Ho visto carrelli carichi di Pampers super scontati guidati telepaticamente all’uscita di un Iper mercato ancor prima che si aprissero le porte, e code incontrollabile ammassarsi alle porte scorrevoli di vetro in attesa dell’apertura, e poi corse al banco come i ragazzini prima di un concerto del cantante preferito.

Per non parlare poi della scelta della cassa più veloce; c’è chi rivolge alla cabala e paga un’apposita cartomante allo scopo di velocizzare il processo di pagamento. Se poi ti metti in coda con un solo pacco di assorbenti, come a dire “Mi sono venute, li avevo finiti, per favore fatemi passare” scopri quanto la distrazione sia un magnifico alibi. Nessuno sembra notarti, nessuno ti rivolge lo sguardo, non sia mai che debba farti passare avanti.

Le fasi più critiche restano comunque due:

·        Dopo aver pagato, come evitare di mettere le fragole in fondo al sacchetto ed un fustino da 5 litri di detersivo sopra, come imbustare tutto il più velocemente possibile, come pagare senza che sguardi indiscreti di circa 50 persone nei paraggi scrutino il PIN del tuo bancomat.

·        Al reparto frutta e verdura, come aprire il sacchetto quando si è già infilato il guanto di plastica (ho visto persone cucciarne i bordi ed usare la lingua) e come indovinare se le mele che hai appena preso sono “Golden” (ovvero 35), “Fuji” (140), “Granny” (radice di 4) o “Renette” (risolvere l’espressione sullo scontrino della bilancia).

 

Evviva la Basko on line!

venerdì 15 maggio 2009

Le cose che vorresti fare, ma che non osi mai fare, e perchè



Sinceramente vorrei vivere in un mondo più libero e meno convenzionale.

Vorrei poter leccare il coperchio in simil-alluminio dello yogurt senza dover lasciare lì tutta quella roba buona, o dover ricorrere al cucchiaino che ne raccoglie solo una parte.

E poi perché non si può?

Perché non sta bene.

Ma io veramente sto benissimo e vorrei anche annusarmi l’ascella in pubblico quando penso di aver sudato, ma non è bello farlo davanti alla gente. Nessuno mi spiega il motivo vero, eppure è così. Vorrei anche togliermi le mutande dalla riga del culo con la mano, attraverso i pantaloni, quando si insinuano proprio lì, perché sono fastidiosissime, ma è maleducazione.

Maleducazione è rubare, fare del male, buttare per terra la spazzatura, inquinare, maltrattare gli altri. Tutto quello che faccio su di me non è maleducazione.

Non vorrei scaccolarmi, le caccole mi fanno schifo, né sputare perché non è giusto sporcare il suolo pubblico.

Vorrei però togliermi il cerume dall’orecchio e controllarne la consistenza e l’odore, la trovo un’attività utile e salutare. Ed anche annusarmi gli umori nelle mutande, per capire se ho un aroma accattivante.

Ovviamente non ammetto rutti e scurregge; il cattivo odore può dare fastidio a chi ti è accanto. Eppure ricordo una volta un amico, che adesso lavora per una TV locale, riscaldandosi i muscoli prima di un allenamento di Judo, mollarne una folgorante dalla posizione a candela. Si rannicchiò per ben dieci minuti, rosso dalla vergogna, senza guardare nessuno, mentre noi che stavamo facendo uchi-komi facemmo piazza pulita attorno a lui non tanto per il puzzo, che non ricordo di aver sentito, ma quanto per simulare le risate. Più che maleducazione, quella fu come una godibilissima battuta.

lunedì 11 maggio 2009

La bugia più diffusa












“Ciao come stai?”. In un nanosecondo scorri gli ultimi mesi quanto ad amore, lavoro, salute, quotidianità, ed in modo automatico rispondi:

“Bene” della serie non mi rompere i coglioni.

Oppure “Bene, e tu?”, così da rimbalzare sul tuo interlocutore la responsabilità della risposta.

O anche “Abbastanza bene” o “Ora bene” quando proprio non riesci a nascondere che si, in effetti, qualcosina è andato storto.

Queste frasette sono davvero la bugia più diffusa e più reiterata, chi ti pone la domanda non è sicuramente in quel momento tra i tuoi amici intimi, altrimenti saprebbe già tutto della tua vita privata, e tu non hai proprio voglia di lamentarti con lui e fare la figura del lagnoso.

Ecco, ma non si potrebbe piuttosto chiedere qualcosa di altrettanto banale, ma di più facile risposta tipo:

“Ciao, che cosa hai mangiato per colazione?”, oppure “Ciao, di che colore sono le tue mutande oggi?”, e ancora “Ciao, hai fatto la cacca stamattina?”.

 

Sarebbe sicuramente meno imbarazzante.