venerdì 26 novembre 2010

Sono un ragazzo


Sono un ragazzo. Vado in giro per le vie della città. Non porto mai l’ombrello, aspetto che la pioggia mi bagni i capelli, e allora tiro su il mio cappuccio. Anche perchè ho una mano già occupata.


Mi accorgo che finisce il marciapiede, quando il gradino mi obbliga a scendere, allora ascolto, ed attraverso, da solo. Io non ho paura, io sono indipendente.

Nessuno mi chiede mai se ho bisogno di aiuto. Eppure stamani una persona, una donna, mi ha detto “Piove!” mentre uscivo dall’atrio della stazione. Voleva avvertirmi, perchè io non porto mai l’ombrello, aspetto che la pioggia mi bagni la testa per tirarmi su il cappuccio. Anche perchè una delle mie mani è già occupata a tenere il mio bastone. Io sono un ragazzo cieco.

mercoledì 24 novembre 2010

Grandinata

(Grazie Renzino per la foto)
“...



Strepitando vien giù candida e bella,


Batte il suol, tronca i rami, il cielo oscura,


E nelle grigie vie sonante e dura


Picchia, rimbalza, rotola, saltella;






Squassa le gronde, i tetti alti flagella,


Sbriciola sibilando la verzura,


Ricasca dai terrazzi e nelle mura


S’infrange, e vasi e vetri urta e sfracella;






E per tutto s’ammonta e tutto imbianca;


Ma lentamente l’ira sua declina


E solca l’aria diradata e stanca;






Poi di repente più maligna stride,


Poi tutto tace, e sulla gran ruina


Perfidamente il ciel limpido ride.”






Edmondo De Amicis


Ieri sera c’erano lampi a giorno. Con tuoni. Per ore. Per tutta la notte, fino a stamattina. Eravamo lì, zitti e attenti, a guardare dalla finestra, quando ha cominciato a grandinare. La strada si è ricoperta di bianco, le macchine, i motorini, si vedevano solo i solchi dei pneumatici. I bimbi erano convinti che fosse neve, e ridevano ammaliati dal paesaggio rilucente sotto i lampioni. Marito scherzava “Lo vedi domani mamma con lo scooter, crr crr gratta la strada”. E in effetti stamani mamma è partita con la tuta antiacqua da moto di marito, alto almeno 20 cm più di lei, col casco e i guantoni da neve. Pioveva, tanto per cambiare, e con le ruote schhh schhh faceva l’acqua delle pozzanghere. A Pisa l’Arno era parecchio incazzato, ed ho pensato alla “La pioggia nel pineto” di D’Annunzio. Ma poi in rete ho trovato “Grandinata” di De Amicis, e mi è sembrata molto più carina. Perchè allora è molto meno famosa? Forse perchè, per fortuna, piove più spesso di quanto grandini.

venerdì 19 novembre 2010

Mi hanno rispedito il cellulare


Mi hanno rispedito il cellulare che era rotto. Hanno riparato il display e tolto il pelo di gatto. Ci ho ritrovato tutto: foto, suonerie, contatti, sms spediti e ricevuti. A parte appunto il pelo di gatto. Hanno anche spedito un cellulare nuovo per il mio collega. Che in realtà aveva bisogno soprattutto di una scheda aziendale nuova, in quanto avendo perso il cellulare precedente non si è preoccupato di toglierci la scheda aziendale prima di perderlo (che sbadato!). Quindi adesso ho il mio cellulare originale senza pelo, il muletto da restituire, un cellulare nuovo senza scheda. Ѐ molto divertente. Ma forse ho capito il messaggio. Sulla rivista aziendale c’è un articolo su una mamma di sei (S E I) figli che dice fa tutto col cellulare. Me la immagino che chiama la tata per sapere se il piccolo ha fatto la pupù, quella manda una foto del pannolino usato (peccato che non si possano inviare anche gli odori), e lei giudica se è il caso di intervenire con una purga o con un astringente. Le mamma del nord sono troppo avanti. E mi vogliono aiutare. Per questo adesso ho così tanti cellulari a disposizione. Devo seguire i miei figli col cellulare. Tirarglielo, all’occorrenza. Ovviamente avendo prima tolto la scheda.

mercoledì 17 novembre 2010

Non posso farci niente

Quando qui dentro, in questa multinazionale leader nel settore, mi parlano di "transformation", mi viene in mente questo:


Scusate, non posso resistere.

giovedì 11 novembre 2010

Un mercoledì da leoni

Mia mamma si opera al braccio in mattinata. Si è fratturata un paio di settimane fa cadendo dallo scooter (fermo). Io faccio da nonna sitter a mia nonna, di anni 97, che pur essendo piuttosto indipendente sta meglio in compagnia. Ho il permesso del mio capo di lavorare da casa per un paio di giorni. Un atteggiamento davvero illuminato.
Mia nonna la mattina cammina per casa secondo percorsi precisi ed un numero di volte prestabilito. Poi si mette in poltrona e fa ginnastica alle mani ed alle gambe, tira su quei piedi e conta. Stamani è un po’ nervosa per via dell’operazione a sua figlia.
Ho imparato che chi è molto anziano riesce talvolta ad essere indifferente ad accadimenti drammatici, e a piangere per delle sciocchezze. Sono tutti gli eventi trascorsi in anni di vivere che lasciano sulla pelle una scorsa scagliosa, ma attraverso le scaglie, talvolta a caso, esce il tenero. Stamani non ha pace, ovviamente. Di figlio ne ha già perso uno; lui era giovane ed era al lavoro.
Mia nonna mi chiede in continuazione se so qualcosa, ma visto che sono qui con lei...e quando squilla il telefono mi dice che squilla il telefono. Ogni tanto si lamenta, mormora “O cosa s’è fatta? S’è assistemata! O quanto ci mette”, forse piange, poi smette, dondola. Dopo un po’ sento l’irrefrenabile desiderio di comprare uno spinello e farglielo fumare. Anche la Montalcini sostiene che può essere utile in alcuni casi.
Pranziamo, a mia nonna piace il vino rosso, un bel bicchiere a pasto.
Poi chiama mio babbo, l’operazione è finita, mia nonna si tranquillizza, adesso può guardare la TV.
Io continuo a lavorare.
Mia nonna ha ripreso le penne:
“Ma il bimbo quando esce da scuola?”
“Più tardi, lo va a prendere marito”
“Non è ancora uscito?”
“LO VA A PRENDERE MARITO”
“Cosa urli, un son mi’a sorda”
Squilla il cellulare, lo guardo storto e leggo “Asilo”. Se siete mamme sapete benissimo che quando squilla il cellulare e compare la scritto “Asilo” o “Scuola” fate un tuffo e la vostra mente viaggia alla velocità della luce, riuscite a percepirla, questa velocità, e pensate Sièrottoundenteècadutohabattutolatestahalafebbrealta
“Pronto?”
“Sono la maestra del piccolo, ha fatto la cacca brutta già due volte”
“Va bene grazie per aver chiamato arrivo subito”.
Mentre torniamo a casa, il piccolo pesta una merda di cane. Siamo in tema. Ovviamente me ne accorgo solo dopo che la scarpina ha timbrato la poltroncina auto.
Cerco di continuare a lavorare mentre il piccolo caca una puzzosa cioccolata calda nel vasino.
Finisco con una riunione a scuola fino alle 18 e 40. Adesso potrei anche andare a fare surf.

martedì 9 novembre 2010

Bandiere rosse



Inizialmente sarà andata così: qualcuno manda una lettera o un e-mail al “Giornale”, che manda un inviato e scopre che è vero. Che a Livorno sventolano delle bandiere rosse in prossimità di un asilo. Questo inviato non si sofferma o non vuole soffermarsi sul fatto che queste bandiere sono lì da decenni a commemorare il luogo dove nel 1921 venne fondato il Partito Comunista, e che l’asilo è stato ricavato molto più recentemente dalle rovine dello stesso teatro. Questo inviato non sa o fa finta di non sapere che a Livorno appena gli dai l’occasione ti prendono per il culo, non è cattiveria, è costume locale, come il pesto per Genova o il panforte a Siena. Va da Mariastella e le sussurra in un orecchio che non sono solo i leghisti, ma anche i comunisti, a mettere simboli propri nelle scuole, e che bisogna intervenire sul rosso come si era stati costretti a fare per il verde. Mariastella è una precisa, e non sa o fa finta di non sapere che a Livorno, non appena gli dai l’occasione, ti prendono per il culo, non è cattiveria, è costume locale.

Non si rammenta neanche di quell’estate del 1984, quando dragarono il Fosso Mediceo alla ricerca di quelle famose teste che Amedeo Modigliani, secondo la leggenda, gettò nel fosso in un momento di rabbia o di sconforto proprio perchè i suoi concittadini lo prendevano, appunto, per il culo, ma senza cattiveria. Non si rammenta di quegli studenti che in giardino costruirono una scultura simile alle teste a la gettarono proprio lì, nei fossi, giusto per prendere per il culo le autorità e i giornalisti. Che ci cascarono credendole autentiche. Non sapevano o fecero finta di non sapere che a Livorno, appena gli dai l’occasione, ti prendono per il culo, non è cattiveria, è costume locale. E per ribadire il concetto, vi fu anche un artista livornese che senza sapere dei ragazzi di cui sopra gettò anche lui le sue due belle sculture nel fosso.

Insomma, arriva l’ispettore e verifica fatti e bandiere. Nel frattempo TV e stampa locali intervistano sindaco e genitori, che la prendono a ridere “Venga pure l’ispettore, e porti du’ vaini per ristrutturare l’edificio, che ne ha bisogno”.
E adesso? Ovviamente li prendono per il culo, era inevitabile: “I livornesi cianno rossa anche la fava! E la fanno perfino sventolà”, soprattutto quando c’è libeccio.

mercoledì 3 novembre 2010

La pera e il torsolo

Oggi controllo dal ginecologo. Trovo molto difficile ogni volta arrampicarmi sul lettino senza rompere il telo di carta steso sopra. Il mio ginecologo è molto didattico, mentre visita spiega ogni singola immagine che appare sull’ecografo ed ogni azione che compie.
Il mio utero è a forma di pera. Ovvero, suppongo che tutti gli uteri siano a forma di pera. Dentro c’è anche il torsolo. Il torsolo è dove eventualmente si forma il bambino, quindi siamo tutti nati da un torsolo di pera. Ho visto le ovaie, quella destra, quella sinistra, le dimensioni, mi ha raccontato del suo mal di schiena ed io del mio mal di collo, ha controllato che fosse tutto a posto nel collo dell’utero, che se vogliamo continuare il giochino della pera, l’ho immaginato come fosse il picciolo. Insomma tutto bene, la mia pera è sana. Ed io che pensavo di avere solamente le puppe a pera!
Comunque stamattina ho pensato un po’ di più a come mi sarei dovuta vestire, giusto in vista di doversi spogliare. Pratica, quindi niente calze. Niente gambaletti ovviamente, altrimenti rischiavo una sovrattassa sul già salato costo della visita. Niente vestiti interi, così da poter mantenere almeno il pezzo di sopra.
Mi ha detto “A marzo sono 40 anni”.
“Eh già”.
La mia pera di quasi quarant’anni sta ancora lì attaccatta all’albero.