lunedì 28 giugno 2010

Io amo



Io amo l’estate. Già da due anni sono tornata ai soliti bagni che mi hanno vista ragazzina. Uno spasso. Non è cambiato niente, è cambiato tutto. I costumi adesso sono bassi, noi li usavamo scosciati, tirati su fino al punto vita. Ci sembravan belli, adesso sarebbero orribili. I soliti balletti tra ragazzi e ragazze ai primi o secondi approcci con l’altro sesso. Adesso c’è l’animazione, prima c’erano le serate danzanti. L’animazione organizza balli di gruppo cui partecipano in maggioranza ragazze e bambini. I maschietti stanno dietro a guardare tutti questi culi che si agitano e scelgono il preferito. Combattuti tra la voglia di giocare e quella di baciare. Peter Pan è una realtà. Li vedo verso sera questi ventenni muscolosi divertirsi a fare le buche sulla sabbia come i miei figli, che sono piccoli, prescolari. Lo stesso gioco. Fanno una buca enorme, in gruppo, e uno si sotterra di sabbia. Poi esce come una mummia marrone e tutti in acqua a fare il bagno. Come i miei bimbi. Ogni tanto arriva una coppia di ragazze, ronza intorno, “che noia” penseranno i maschietti. Purtroppo le donne perdono la voglia di giocare in anticipo rispetto ai maschi, sono troppo pratiche. Una si avvicina ad un amico intento a scavare con le mani. “Quando vai via?” chiede. E lui, senza perdere d’occhio la buca: “Sette e mezzo, un cazzall’otto”.

martedì 22 giugno 2010

Io odio e Piccoli problemi estivi


Io odio
Io odio chiedere aiuto. Mi va bene chiedere spiegazioni, è un mio diritto inviolabile. Chiedere aiuto invece ferisce il mio orgoglio, quella punta cocente che mi si infila nel petto fino a piangere. Eppure mi hanno spiegato che è un mio diritto anche quello, e che non sempre si riesce a farcela da soli. Che quando si chiede, l’ascoltatore viene reso responsabile di rispondere “Si posso” oppure “No non posso”. Eppure a me svuota. Eppure io mi faccio in quattro quando ricevo una richiesta di aiuto. Bisogna che cambi.
Piccoli problemi estivi
In estate i piedi sudano. In estate non si portano calzini e si indossano scarpe aperte. Il sudore dei piedi si amalgama con la polvere delle strada che entra dalle fessure delle scarpe e con piccoli lembi di pelle cedute dai nostri piedi, fino a formare collose caccole nere che si cementificano all’interno di sandali e decoltè. Manca un prodotto. Quest’inverno ci hanno spaccato i coglioni con i saponi secchi contro la suina, un’azione di marketing fantastica che ci ha fatto vedere quelle boccette di plastica trasparente come indispensabili per superare l’inverno e gli ambienti affollati. Ci siamo (si sono) spalmati le mani di quella sostanza evanescente ed aggressiva che sapeva di alcool puro, anzi probabilmente si trattava solamente di alcool sbiancato, ed abbiamo arricchito le tasche di qualche multinazionale. Che fessi. Però nessuno che mi risolva queste caccole nere incollate in solette che non posso lavare con acqua e sapone.
Userò lo scalpello.

lunedì 14 giugno 2010

Quello che mi piace dei Mondiali


Le cene con gli amici. Ritrovarci tutti in una casa a mangiare una pizza o una pasta, prendere due birre, guardare la TV, urlare, dire qualche parolaccia, sdraiarsi per terra dalla gioia o dalla disperazione, fregarsene e chiacchierare con qualcuno che non vedi da molto, ridere. Ascoltare e cantare l’inno. Ascoltare gli inni delle altre nazioni.

Quello che ricordo dei Mondiali. I mondiali del ‘90, quando ho preso il diploma, ed ho sostenuto l’orale la mattina seguente alla sconfitta dell’Italia. Temevo il nervosismo dei prof., ma poi andò bene, a parte il gatto che poverino era morto nel cofano dell’auto che mi riportò a casa, il caldo, il puzzo del gatto morto. Baresi che piange. Baggio che piange. Ricordo meglio i pianti dei goal (preferisco i romanzi alle partite).

Quello che non mi piace dei Mondiali. I cortei di auto per la strada, i clacson, i motorini che corrono veloci con le bandiere, i ragazzi che gridano. Ho paura che qualcuno si faccia male.
Italia, non Italia. Quelli che non tifano Italia solo per essere originali o per fare i dispettosi. Io non tifo niente, ma quando vedo un bel ragazzo che corre mi commuovo.

mercoledì 9 giugno 2010

L'invidia


L’invidia è il sentimento amaro degli infelici. Se sei felice, non provi invidia. Se sei infelice, non è detto che tu provi invidia, magari intorno non c’è niente da invidiare. Meglio la gelosia allora, quando hai qualcosa di bello e temi che qualcuno te lo porti via.
L’invidia ti porta a guardare gli altri e desiderare quello che loro hanno, oppure (che è peggio), che anche loro perdano quello che hanno.
Vorresti proteggere tutti i tuoi cari dall’invidia altrui come fosse un malocchio, perchè davvero temi questo sentimento acido e corrosivo. Eppure a volte ti chiedi “Perchè lui si ed io no?” e rifletti sull’ingiustizia. E se qualcuno ti accusa “Sei invidioso” tu rispondi “Non è invidia, è giustizia sociale”.

giovedì 3 giugno 2010

Palmaria con botto



Era proprio la giornata ideale per una gita all’Isola di Palmaria, di fronte a Porto Venere. Un misto di nuvole e sole rendeva la camminata lungo il Sentiero dei Condannati piacevole e la vista perfetta. I bambini si stavano divertendo. Il piccolo aveva in mano un carico di legnetti, raccolto prezioso di piccoli passi su un sentiero sterrato. Ed ecco che inciampa e, deciso a non lasciare il suo tesoro, cade di lato battendo la tempia su una pietra. Io sono proprio dietro di lui, lo vedo, non riesco a fermarlo e sento un botto sordo di ossa contro pietra. Se ci ripenso anche adesso mi si drizzano i peli delle braccia e mi viene la nausea. Lo raccolgo, piange, chiamo mio marito, un po’ d’acqua fresca, sanguina, anche gli altri bimbi sono spaventati. Corriamo giù per il sentiero, la ferita è piccola, ma profonda, ed il piccolo è già tranquillo. Il grande invece, che subito mi ha chiesto “Ma domani può andare all’asilo?” per paura di vedere il fratello a casa mentre lui si dirige in classe, appare adesso scosso ed ammutolito dall’evento. Chiamiamo il 118, che ci manda una barca della Capitaneria di Porto. Intanto i bambini giocano sulla spiaggia di sassi ed io farnetico qualcosa di contraddittorio al telefono, si è fatto male alla fronte, alla nuca. “Dove signora?”. Tempia non mi viene, non mi esce dal cilindro delle parole. La barca della Capitaneria raggiunge La Spezia davvero velocemente, e sopra tre ragazzi simpatici fanno giocare i bambini. A La Spezia ci aspetta un’ambulanza. Grandi Volontari! Arriviamo al Pronto Soccorso ed il piccolo risponde tranquillamente alle domande su nome, cognome ed età. “Dove vivi?” “A GeVona”. Risponde pronto. Ma no, adesso siamo a Livorno! Un medico in tuta fuxia dà un punto sulla tempia di mio figlio, che è bravissimo, assistito da infermieri in verde accesso. Usciamo, andiamo ai giardini, i bimbi hanno già dimenticato e giocano. La figlia dei nostri amici chiede alla mamma “Ma il mio amico si è rotto il cervello?” e suo fratello incalza “No, la testa”. “Si, ma sotto c’è il cervello”, riprende lei.


Sentiero dei Condannati: Alla fine del XIX secolo per rispondere all'esigenza, che si faceva sempre più pressante, di una difesa capillare del golfo della Spezia, vengono costruite da parte della Regia Marina delle installazioni militari di vario tipo.
Fra le batterie terrestri, divisibili in alte e basse a seconda dell'obiettivo da colpire, fu realizzata anche la Fortezza Umberto I, costruita fra il 1887 e il 1889, su progetto del Direttore della Fortificazioni della Regia Marina, Tenente Colonnello Ferdinando Spegazzini. La Fortezza risulta essere costruita con notevole rapidità anche grazie all'utilizzo di numerosa manodopera coatta, costituita essenzialmente dai detenuti che ogni giorno venivano condotti da S. Bartolomeo a La Spezia fino all'isola Palmaria e che venivano divisi tra la realizzazione della possente struttura seminterrata della torre e l'ammodernamento del forte Cavour sulla sommità dell'isola. Ancor oggi, a ricordo di questa manodopera, il sentiero che collega le due fortificazioni dell'isola è chiamato "sentiero dei condannati".