« Se
fossi un livornese, di quelli veri che dicono "deh" e parlano a mano aperta, muovendo le
dita, come per far vedere che nelle loro parole non c'è imbroglio, vorrei star
di casa in qualche Scalo della Venezia. Non già nei quartieri, nelle
piazze, nelle strade disegnate con la matita dolce, con l'aiuto di squadra e di
compasso, dagli ordinati e generosi architetti dei Granduchi, ma in questo
quartiere che i livornesi chiamano La Venezia, qui nel cuore della città
vecchia, a due passi dalle Carceri,
dal Monte Pio, dai Bottini dell'olio.
Che bella vita sarebbe, che vita semplice e felice.»
(Curzio
Malaparte, Maledetti Toscani)
Da bambina
tornavo dal mare in maglietta e costume e mi sentivo così libera. Non avevo la
sabbia appiccicata ai piedi, amavo lo scoglio ed i tuffi da quello più alto.
Anche adesso è così.
Sono nata nel
quartiere Venezia, dalla finestra di casa, nel fosso (canale) potevamo vedere
ormeggiato il gozzo del mi’ babbo e del mi’ zio.
C’è stato un
momento, dopo i venticinque anni, in cui la mia città mi stava stretta, ed
avevo voglia di andarmene e vedere altro. Avevo forse la solita smania dei
giovani, e probabilmente mi stavo stretta da sola. Così partii, pensando di
allontanarmi un paio di anni. Che invece sono diventati dodici, ed in questo
periodo ho avuto modo di odiare la mia città perchè non mi voleva più, perchè
non potevo viverci, e la trovavo piccola e meschina, ma probabilmente ero io
che non sapevo decidermi.
Poi sono
riuscita a tornare ed ho potuto amarla ancora. Come si ama un amante da anni,
conoscendone i difetti e adorandone i pregi.
Adoro il mare,
tutti i livornesi lo adorano. In tutte le sue forme, passeggiando sul lungomare
del Viale Italia d’inverno, magari con quella noia tipica della stagione, quando
lo scirocco invita i surfisti dei Tre Ponti, ad Agosto sui bagni con gli
zoccoli e la ghiacciaina della cena, in primavera con i piedi nell’acqua
fredda, mi piace Calafuria lo scoglio liscio ed i tuffi di testa, o i granchietti
alle Vaschine e l’unica spiaggia della Cala del Leone, Calignaia e “W gli
sposi” che si sente dal ristorante di sopra, la barchetta del mì babbo che
ancora ci porta alle Melorie, la schiacciata per la nausea e la murena della
buca dei favolli.
Mi piace il
livornese che ti invita a cena o ti offre qualcosa che ha portato, che ironizza
sui propri malanni e sulla proprie infermità, anche quelle tragiche e gravi,
che scherza e sorride, quello che ha sempre la battuta pronta, quello sincero.
Mi piace quando si prodiga in mille spiegazioni se un forestiero chiede
un’indicazione.
Odio la
spazzatura per terra del cittadino qualunquista e maleducato, odio la
corruzione dei posti di lavoro dove entri se sei figlio di o fratello di o
moglie di o amico di, ma questo è un male generale dell’Italia che ne rovina il
benessere economico.
Odio i soliti
discorsi: si però a Rimini, si però a Pisa, si però a Milano, si però. Non parogonerei
la mia città a nessun’altra città, perchè non vorrei rovinare la mia costa per
qualche ombrellone a pagamento, o la vita di questa città con quella frenetica
di Milano. A Pisa hanno basato la loro economia sull’Università, sulle ditte
satellite e gli studenti. A Livorno abbiamo puntato sul porto e ci è andata
male, così come a Genova, ma almeno non abbiamo il cadavere del ragno nero dell’acciaieria
che deturpa la nostra costa con le sue zampe molli, là come a Piombino. Ogni
città ha la sua personalità. Il benessere non sta in ciò che hai, ma in come lo
usi. Quello che a volte sembrava dare pane, spesso ha poi dato la morte. Occhio
a certe politiche economiche; cerchiamo invece di mantenere il giusto
equilibrio tra la vita privata e quella lavorativa.
Io sono per la
decrescita felice e sostenibile.
"Anima mia leggera,
va' a Livorno, ti prego.
E con la tua candela
timida, di nottetempo
fa' un giro; e, se n'hai il tempo,
perlustra e scruta, e scrivi
se per caso Anna Picchi
è ancora viva tra i vivi.
Proprio quest'oggi torno,
deluso, da Livorno.
Ma tu, tanto più netta
di me, la camicetta
ricorderai, e il rubino
di sangue, sul serpentino
d'oro che lei portava
sul petto, dove s'appannava.
Anima mia, sii brava
e va' in cerca di lei.
tu sai cosa darei
se la incontrassi per strada."
va' a Livorno, ti prego.
E con la tua candela
timida, di nottetempo
fa' un giro; e, se n'hai il tempo,
perlustra e scruta, e scrivi
se per caso Anna Picchi
è ancora viva tra i vivi.
Proprio quest'oggi torno,
deluso, da Livorno.
Ma tu, tanto più netta
di me, la camicetta
ricorderai, e il rubino
di sangue, sul serpentino
d'oro che lei portava
sul petto, dove s'appannava.
Anima mia, sii brava
e va' in cerca di lei.
tu sai cosa darei
se la incontrassi per strada."
Preghiera, G. Caproni
(centenario della nascita)
5 commenti:
E' così: Livorno o la ami o la odi.
O ti piace in maniera sviscerata perché trovi lì tutto ciò che desideri o hai sempre desiderato, o ti disgusta perché non ami ciò che trovi lì, oppure perché non riesci a capirlo.
Magari è così per tutte le città.
Non credo.
Livorno è una enclave nella stessa Toscana.
In altre città si trova sempre la mezza misura. A Livorno non c'è.
Forse hai ragione. Lo dico sempre anche io, da noi il vezzeggiativo non si usa. O "ine" o "acce".
O 'ine', o 'acce' o 'one'.
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