lunedì 26 aprile 2010

Campagna



A me non esalta la campagna, preferisco il mare o la montagna, anche se le riconosco una certa identità. Quando ci conoscevamo da poco, mio marito buttava le bucce della frutta ed i resti di cibo nell’acquaio. Mi spiegò che lui è nato in campagna, dove gli avanzi del piatto non si buttano, ma si mettono da parte per polli e conigli. Che in effetti divorano tutto, anche la buccia del cocomero, e la riducono ad una soletta verde di non più di un millimetro. Ci si potrebbe fare un ombrello. Comunque, non avendo galline, si è rassegnato a buttare tutto nella spazzatura o al massimo nel secchio del compost.
La campagna resta comunque un mondo a sè. Anche durante la guerra, si è ritagliata un angolino di pace dove i cittadini come mia nonna andarono sfollati. Mio suocero mi racconta che non soffrirono la fame, o l’invasione, o i bombardamenti. Che uccisero, conservarono e mangiarono un maiale per paura che i tedeschi se lo portassero via. Che da bimbetto, seduto su una mucca, con le sorelle, vide arrivare gli americani e temette il peggio “Vai ci siamo”, invece gli regalarono un chewing gum.
Ieri pomeriggio, dopo una mattinata al mare, siamo andati anche noi in campagna. Ai bimbi piace, tra lucertule, lombirichi, fiori, pezzi di legno, cani, ruscelli e scarabei, non c’è da annoairsi. Io ho cominciato a starnutire, e lacrimare, e soffiarmi il naso. Con gli anni ho sviluppato questa allergia non so bene a cosa. Al polline. Ai pini. Alla polvere. Chissà.
Una bella rottura.

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