giovedì 8 aprile 2010

Stuck



Sarei saltata sulla prima moto che passava zizzagando tra le macchine, piuttosto che stare lì ferma in auto in galleria, una coda di macchine mute a fari spenti, un serpente silenzioso e addormentato per più di un’ora. Ho provato ad ingannare il tempo con i passatempi sul cellulare, per poi preferire altre attività: fare allungamenti, grattarmi, guardare i vicini di auto, sbirciare le loro piccole attività del momento e le loro espressioni contingenti, notare che la tipa dell’auto accanto era come congelata al volante, che quello davanti leggeva il giornale e che qualcuno più in là si scaccolava per poi arrotolarle con le dita e lasciarle cadere sul tappetino della macchina. Avrebbe potute tirarle alla tipa congelata per smuoverla un po’, dico io. Ho di nuovo preso il cellulare e, scorrendo la rubrica, ho cancellato tutte quei nomi che non riuscivo a collegare a persone conosciute. Chi è Emanuela? E Kevin? Ho pensato che avrei potuto avere un attacco di panico, o una crisi claustrofobica; ho provato un desiderio irrefrenabile di aprire la portiera, accostarmi alla parete della galleria, accucciarmi a fare pipì e ammirare quel rigolo liquido scivolare e avvicinarsi ai vicini di auto. Sarebbe stato un grande sollievo!
Avrei potuto chiacchierare con qualcuno, chiedere dove vai, a che ora sei partito, sei arrabbiato annoiato o indifferente.
Alla fine ci ho messo più di quattro ore per arrivare a Genova, da Livorno. Era stato un furgoncino carico di pesce a ribaltarsi e scaricare per strada il suo carico scivoloso, bloccando l’autostrada per tutto quel tempo.
A mensa, ovviamente, nasello.

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