lunedì 6 giugno 2011

Soccorso ad un gatto investito

Sabato mattino mentre ero sul terrazzo ho sentito un tonfo sordo. Mi sono affacciata: una utilitaria nera, forse una Smart, aveva investito un gatto che si allontanava sbilenco verso il marciapiedi sotto il nostro balcone. Mi sono spaventata. I bimbi stavano giocando in salotto. Il gatto è scomparso sotto un’automobile in sosta e non l’ho più visto uscire. Poco dopo siamo andati al mare. C’era un fagotto immobile sotto l’auto parcheggiata ed ho pensato fosse morto. Siamo tornati, il fagotto era ancora lì. Con mio marito abbiamo deciso di provare a togliere quel cadavare il giorno dopo. Subito dopo cena abbiamo sentito un vociare; un bambino aveva visto il gatto muoversi e voleva aiutarlo.


Ho chiamato un’amica veterinaria. Il gatto era vivo, soffiava e brontolava di paura e rabbia. Un gatto randagio, un gatto grande maculato e ingiallito dal sole, con la bocca da gatto selvatico e con tutti i suoi attributi riproduttivi. Non riuscivamo a prenderlo. Nel frattempo si è formato un capannello di bambini e adulti.

“Possiamo provare ad attirarlo con del latte” ho esclamato.

“Ci vorrebbe del wurstel” ha ribattuto la veterinaria.

Lo abbiamo spinto ad uscire da sotto l’auto con una scopa, muoveva bene solo le zampe davanti, poverino. Gli abbiamo gettato una coperta addosso per immobilizzarlo, e poi la veterinaria gli ha iniettato del sonnifero. Mio marito lo teneva fermo con la scopa, mentre mio figlio più piccolo cercava di avvicinarsi sempre di più, incuriosito. Ci hanno prestato una gabbietta. “Sarà difficile curarlo, ma possiamo provarci. È selvatico. Avrà pure l’AIDS. Tutti i gatti randagi hanno l’AIDS”.

La veterinara ha portato via il gatto. Chissà cosa avrà pensato di noi quel povero animare. In tarda serata ho scoperto che il gatto aveva il bacino rotto, e che sarebbe stato difficile curarlo, vista anche la sua natura selvaggia. La dottoressa aveva optato per l’eutanasia.

Ai bimbi abbiamo detto che era morto durante la notte.

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