Sbarco a Delhi
che è mezzanotte. Metto piede in aeroporto con un rutto da fare invidia ai mie
figli; mi volto, è stata una signora indiana sulla settantina, avvolta in un bell'abito tipico di colore giallo. Nessuno ci ha fatto caso, a parte me.
Dell’India ho
visto poco, ovviamente. L’auto costosa dell’albergo che mi aspettava all'aeroporto aveva un sacco di pulsanti per regolare il sedile, con cui ho giocato fino all'arrivo. L’albergo era lussuosissimo e circondato da una vegetazione
rigogliosa.
Ho fatto appena
in tempo a vedere l’Indian Gate, il palazzo presidenziale, alcuni banchetti nei
paraggi, una signora che aveva investito nell'acquisto di una bilancia con la
quale pesava le persone a pagamento.
Mi hanno colpito
i bellissimi colori degli abiti delle donne, e del trucco di alcuni uomini.
Loro di me hanno
notato soprattutto i capelli; “golden hair”, dicevano.
Sembrano
rammaricarsi per un no, e rifiutarsi di pronunciarlo.
Ho assaggiato tutto
quello che di cotto si poteva assaggiare. Speziato, piccante; un po’ di
brucia’ulo al ritorno, ma niente di più.
Prima del volo di
ritorno, al controllo bagagli, piuttosto accurato, il metal detector prevedeva
una porta per le donne ed una per gli uomini. Rimango un po’ titubante, non mi
era mai capitato prima, poi seguo l’invito di una ragazza alla dogana e mi
infilo nella porta giusta. Lei nel controllarmi mi apostrofa con un sorrisetto
ironico “Are you a lady?”, “Yes!”
rispondo io, e nel frattempo penso “Fottiti” e subito dopo “E comunque, fatti i
peli alle braccia”. Senza offesa, eh!
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