giovedì 28 ottobre 2010

Giampare la fensa



Una decina di anni fa alcuni italiani emigrati in Australia si esprimevano con un curioso mix di italiano ed inglese, per cui “Jump the fence”, ovvero scavalco il cancello, diventava “Giampo la fensa”. Si poteva anche comprare la “bredda”, il pane, e “parcare la carra”, parcheggiare l’automobile. All’epoca lo trovai divertente.
I nostri capi parlano allo stesso modo. Usano una strana miscela di italiano ed inglese anche dove la lingua natia risulta più che sufficiente, per cui se devi chiedere un appuntamento ti suggeriscono di “buccare uno slot di tempo”, se qualcuno tende alla pigrizia e vive nello stato delle cose sta nella “comfort zone”, mentre i periodi di crescita economica sono i “rump up”. Chissà se parlano così anche a casa “Moglie, pusha la pasta che sto arrivando”, “Figlio, sei committato per il compito di domani?”, “Cara, poppo i tortelli che sono cotti”, e “Vado un attimo in bagno che mi escheip la pipì”.

2 commenti:

Spartacus ha detto...

L'asino di mio nonno
La prima volta che ho udito il termine "Comfort Zone" stato circa due anni fa, quando uno dei tanti miei nuovi capi mi convocò e mi disse che capiva bene lo stato d'animo di chi era stato tirato fuori dalla sua comfort zone, ma che nella sua area avrei imparato cosa vuol dire lavorare.
Allora la prima cosa che feci fu di andare a vedere cosa volesse dire quel termine, e scoprii che trattasi di un termine utilizzato in psicologia per riferirsi ad uno stato psicologico nel quale una persona opera senza particolari ansie. A quanto pare, questo stato viene considerato deleterio nel mondo del lavoro, perché sembra che uno stato d'ansia migliori le prestazioni.

A me é venuto subito in mente l'ansia del somaro di mio nonno quando veniva frustato con la corda per convincerlo a portare su per la collina i due tini pieni d'uva.
Sicuramente però la mia impressione doveva essere fallace, perchè quando ho sentito più di un manager usare la stessa espressione, allora ho capito che avevano partecipato ad uno di quegli stage di psicologia aziendale nei quali ti insegnano quali leve psicologiche usare per sfruttare la "risorsa" umana al massimo delle sue capacità e dal quale esci con dei nuovi termini lessicali che non vedi l'ora di sfoggiare in giro.

Rimane però il fatto che, quando mi trovavo nella mia "comfort zone", ero felice del lavoro che facevo, perché era quello che mi aveva appassionato fin da ragazzo, per il quale avevo studiato e nel quale mi impegnavo ben più di quello che mi veniva richiesto.
Adesso faccio un lavoro che non mi piace, spesso non ho niente da fare e, ogni volta che incrocio quel capo, penso all'asino di mio nonno.

Verosimile ha detto...

Il vitello non so educa a bastonate. Vecchio proverbio contadino.